Il Presidente nazionale degli installatori di impianti di Confartigianato, il vicentino Dario Dalla Costa, ha dato il suo contributo al lungo articolo uscito sul Sole24Ore del 25 maggio in tema di caldaie a condensazione. Riportiamo parte dell’articolo.
Cambiare l’impianto di riscaldamento e godere al massimo delle detrazioni fiscali costa minimo 2.500 euro, che si ammortizzano nel giro di circa 5-6 anni. Dopo il cambio dei serramenti la sostituzione della caldaia è il secondo tipo di intervento più richiesto da chi accede agli sgravi del 65% legati all’efficienza energetica. Una soluzione con una platea enorme di potenziali interessati, visto che in Italia ci sono circa 19 milioni di caldaie installate, di cui solo un milione centralizzate, e almeno due terzi di queste sono ancora di vecchia generazione. Per rientrare nel bonus fiscale occorre installare una caldaia a condensazione, quel meccanismo che recupera il calore latente dei fumidi scarico reimmettendolo in circolazione. Su quale modello orientarsi? «Si va dai prodotti più semplici, con comandi simili a quelle tradizionali, a quelli più evoluti costruiti con acciai speciali, sonda lambda che controlla la combustione e gestibili in remoto da smartphone», spiega Dario Dalla Costa, presidente nazionale degli impiantisti di Confartigianato. «Sul costo incide anche l’etichetta energetica, che può essere A o B, mentre la A o successive riguarda solo le pompe di calore o le caldaie integrate a pannelli solari», specifica Federico Musazzi, responsabile nazionale di Assotermica (Anima-Confindustria).
Abbiamo chiesto tramite il sito Instapro un preventivo per ammodernare l’impianto in un appartamento a Milano, con una caldaia da 24-26 kw, le potenze più utilizzate, ottenendo preventivi comprensivi di manodopera che vanno da 1.300 a 2.000 euro circa. Ma è una indicazione sommaria. «Il prezzo corretto si ottiene solo dopo un sopralluogo. Oltre al modello di caldaia, infatti, l’altra grande voce di spesa riguarda la canna fumaria I prodotti a condensazione richiedono un condotto dedicato in acciaio inox o materiale plastico e nella quasi totalità degli interventi si deve sostituire o incubare il camino esistente, con costi variabili da qualche centinaio fino a qualche migliaio di euro — spiega Dalla Costa —. Ecco perché, per un impianto medio, che faccia riscaldamento e acqua sanitaria e una potenza da 24 kw, il lavoro complessivo si aggira sui 2-3mila euro per interventi in zone periferiche, per arrivare anche a 5 mila euro». E il risparmio? «In media, i consumi migliorano del 20-30 per cento», assicurano da Assotermica.
Ma la forbice oscilla a seconda dall’uso e dall’impianto originario: «La caldaia a condensazione mantiene le sue caratteristiche finché i fumi rimangono sotto i 57 gradi, quindi con una temperatura di mandata non sopra i 75 C. Oltre questi valori non condensa più», spiegano da Confartigianato. In altre parole, dà il meglio se accoppiata a pannelli a pavimento o radiatori adatti a basse temperature, mentre è un po’ sacrificata se abbinata a termosifoni. Facciamo qualche ipotesi partendo dalla fascia più alta di costi, 5mila euro. Il 65%, quindi 3.250, si recupera in sede Irpef con dieci rate annuali da 325 euro l’una. Quanto ai consumi, secondo l’Istat ogni famiglia spende in media 1.004 euro l’anno per il riscaldamento a metano. Ipotizzando un risparmio annuo del 20%, quindi 200 euro, ogni anno si otterrebbe un beneficio di 525 euro (325 più 200). Scorporando per semplicità il 65% come se fosse restituito immediatamente (non tenendo conto quindi di inflazione ed eventuali rendimenti alternativi dell’investimento effettuato), i restanti 1.750 euro si recuperano in quasi 9 anni in bolletta. Ma sono parametri variabili. Se i lavori costassero 3.500 euro, con un costo annuo del riscaldamento di 1.200 euro, abbastanza frequente nelle regioni più fredde, avremo un recupero annuo di 467,5 euro (227,5 di detrazione più 240 legati ai consumi). In questo caso dopo 7 anni e mezzo si rientrerebbe dalla spesa, ma tenendo conto delle ulteriori tre rate da incassare si può stabilire un tempo di “buy-back” di poco più di 5 anni. In entrambi i casi, è sempre meno del ciclo di vita di una caldaia, che è di circa 15 anni. Dunque, vale la pena affrontare la spesa anche quando la vecchia caldaia funziona ancora? «Direi di sì perché si aumentano comfort ed efficienza, riducendo l’inquinamento», conclude Dalla Costa.