Partecipazione del presidente Bonomo e del direttore Giacomin ad un confronto in redazione con il Giornale di Vicenza ed il Gruppo Gedi (Mattino, Tribuna, nuova Venezia, Voce di Rovigo e Corriere delle Alpi) sulle novità portate dalla legge regionale per l’artigianato, approvata il 2 ottobre scorso.
L’artigianato veneto oggi conta circa 128 mila imprese ed occupa oltre 333 mila addetti. I12 ottobre 2018 la Regione Veneto si è dotata di una nuova Legge che regola il comparto. Comprendere cosa è successo e come si è modificato il tessuto imprenditoriale nei 31 anni che sono trascorsi dalla prima legge regionale datata 1987 consente di comprendere quali sono le innovazioni anche normative che è stato necessario introdurre. Ad esporre il quadro in un forum organizzato per il nostro giornale sono stati Francesco Giacomin segretario generale di Confartigianato
Veneto e Agostino Bonomo presidente dell’associazione.Giacomin come si configura oggi l’artigianato veneto? «Le pubblicazioni uscite in questi anni, a cominciare da Futuro Artigiano di Stefano Micelli e la sua accoglienza come testo anche per non addetti, ci dicono che assistiamo sempre più allo sviluppo di una economia su misura. Che coglie dal valore artigiano ispirazione e modello. Un’altra dimostrazione dell’attenzione al tema è il grande successo ottenuto da Homo Faber a Venezia, una mostra alla quale erano attesi 25 mila visitatori e ne sono arrivati 60 mila. Tutti questi segnali ci informano che la percezione dell’artigianato, la sua dimensione culturale è mutata. La legge regionale quadro, votata all’unanimità, è un altro elemento di riflessione. L’artigianato va guardato con occhi diversi».
Presidente Bonomo quali sono gli aspetti fondamentali della nuova legge? «È una normativa che fissa i confini, con l’istituzione di un albo. La modifica riguarda anche i limiti dimensionali, catalogando come artigiana l’impresa con 20 dipendenti. Che può alzarsi, compresi gli apprendisti, fino a 40 per le imprese dell’artigianato artistico. Che tuttavia sono dei limiti un po’ stretti. Noi ci rifacciamo al modello tedesco per esempio, dove artigiana è quella impresa che si ispira ad un percorso formativo, quello del maestro artigiano. In Germania il limite è da 0 a 500 dipendenti. Da noi questo salto non è pensabile ma 20 dipendenti sono pochi».
E qual è il limite giusto, presidente? «Servirebbe un compromesso. Ripeto l’impresa artigiana identifica un modo di fare impresa. Noi diciamo che la subfornitura con cui si identificava un tempo il nostro settore è totalmente sparita. I nostri non sono subfornitori, ma superfornitori. Imprese dotate di flessibilità, guidate da ingegno, innovazione, creatività e capacità manuale. Questa legge ci riconosce una serie di cose, le Botteghe artigiane storiche come depositarie di tm patrimonio culturale, il riconoscimento del maestro artigiano. L’istituzione dell’albo e i controlli affidati al Cra danno un indirizzo qualitativo e quantitativo. Il ripristino di una serietà e severità nella normativa quadro».
Giacomin, quali sono gli altri punti di forza del regolamento? «Lo snellimento degli iter burocratici. Il soggetto che delibera è direttamente la Giunta Regionale, che quindi può fare piani triennali, piani di intervento particolari su alcune tematiche molto delicate come il tema del credito. E poi c’è questa dotazione di 20 milioni di euro. È una legge che chiama in causa le potenzialità associative e degli enti bilaterali. Consente di delineare progetti comuni sommando le risorse dei diversi attori».
L’istituzione di un albo impone la salvaguardia e il riconoscimento della qualità artigiana, ma impone anche la codifica di un percorso formativo, presidente Bonomo? «Esattamente. La qualifica di Maestro artigiano, di Bottega artigiana, di Artigianato artistico o storico sono interventi che richiedono un processo di qualità che si innesta sulla filiera azienda-scuola-università. E che richiede anche una formazione, una evoluzione che può partire dagli Itis. Anche come percorso post- diploma. La formazione è un tema cardine, per la salvaguardia del patrimonio culturale delle Botteghe storiche, ma anche per trasmettere il sapere che con i passaggi generazionali può andare disperso. Noi vediamo che in fase di passaggio generazionale il 75% delle operazioni va in default. È un tema importantissimo. Per questo sull’alternanza scuola lavoro credo che si debba fare molto».
La legge regionale presidente si incardina su un cambiamento del comparto. Lo vediamo sotto diversi aspetti, non solo sulla numerosità delle imprese o degli occupati, ma sulla scelta di creare sempre più aziende come società di capitali. «Le nuove imprese artigiane sono quasi tutte Srl e infatti la curva di crescita qui è esponenziale. Ciò avviene per diverse ragioni, ma il tema del finanziamento e della separazione imprenditore azienda sono tra i principali. Questa normativa ci consentirà di formare sempre di più e meglio gli artigiani, anche sotto l’aspetto finanziario. Con il fallimento delle due venete lo abbiamo provato sulla nostra pelle. Bisogna individuare nuovi modi di finanziamento, non esiste solo il credito bancario».
I NUMERI
Nel corso degli anni l’artigianato veneto ha avuto una fase di espansione a partire dal 1996 raggiungendo il picco massimo nel 2007, quando nella regione si è giunti a contare 147.906 imprese. Da li è iniziata una discesa. Il comparto manifatturiero, che è circa un quarto, ha avuto una dinamica al ribasso. Come pure le costruzioni. Per quanto riguarda la forma giuridica si è passati da 629 società di capitali nel 2000 alle oltre 10 mila e 700 di oggi.
