Backup frequenti dei dati sia in rete che in dischi rigidi esterni e non collegati al web, attenzione alla navigazione internet, evitando siti equivoci o potenzialmente infetti, non aprire le mail di cui non si conosce il mittente e dotarsi di tecnologie protettive all’avanguardia. Sono questi i 4 presidi fondamentali per sopravvivere ai sempre più frequenti attacchi informatici in rete. A individuare le modalità di base per la propria sicurezza informatica è la padovana Stefania Ranzato, presidente e ad di Cyber Intuition, start up con sede a Roma e Brescia che per prima ha ideato e messo sul mercato un prodotto specifico per gli attacchi informatici.«È fondamentale dotarsi di strumenti tecnologici all’avanguardia» spiega Ranzato. «Per bloccare sul nascere attacchi che non solo non permettono più l’accesso a dati essenziali ma che si stanno evolvendo in ramsonworm (letteralmente i ricatti da virus), che esportano le informazioni e le mettono nella disponibilità del cybercriminali». La giovane imprenditrice, nata a Vigodarzere, ha fondato da poco più di un anno, assieme a 3 colleghi bresciani tutti tra i 30 e i 35 anni (Nicola Mazzini, Fulvio Guatta e Daniele Apostoli) una Trit Intelligence Security Company, una start up (forte di 20 collaboratori) che si occupa di intelligence e sicurezza informatica e che ha messo sul mercato il primo strumento per sconfiggere gli attacchi da ramsonware: Raptor, che permetterà all’azienda di chiudere il fatturato 2017 a cifre a 7 zeri grazie a contratti importanti con aziende private e istituzioni sanitarie, società finanziarie ed enti governativi, infrastrutture critiche e partner internazionali. «Siamo la prima impresa del settore totalmente made in Italy» spiega l’ad di Cyber Intuition. «E facciamo della ricerca e sviluppo la nostra principale attività. Monitoriamo quotidianamente quelle aree di internet dove si possono acquistare e diffondere nel pieno anonimato prodotti e servizi assolutamente illegali come ad esempio, virus, malware e molto altro ancora. Questo genere di prodotti hanno un mercato notevole in questi ambiti e gli attacchi servono non solo a fare cassa ma a “pubblicizzare” l’efficacia di sistemi che vengono acquistati da altri per essere riutilizzati magari con alcune modifiche ancora più micidiali». Mentre gli attacchi (ad oggi se ne conoscono circa 35 famiglie diverse) sono cresciuti in un anno del 300%, la fragilità della tutela dei dati è ancora troppo alta sie in azienda che nelle istituzioni. «A rischio sono le operatività delle imprese, i brevetti, i know how aziendali e i dati dei clienti ma pure le identità personali, le cartelle cliniche dei pazienti degli istituti di cura e molto altro ancora» ha concluso Ranzato. «Una volta attaccate e vistesi i propri dati scomparire, molte imprese preferiscono pagare un riscatto e tornare ad avere la disponibilità delle proprie informazioni piuttosto che denunciare l’aggressione, riorganizzare interi sistemi e perdere credibilità con i propri utenti. Ma è un approccio assolutamente sbagliato perché si rischia di entrare in quella lista “dei buoni pagatori” che i cybercriminali si scambiano e che non fa che portare a nuovi attacchi».
Articolo uscito sul Mattino di Padova